Giuliana Nuvoli, ” ‘La civile uguaglianza degli esseri umani’. Anna Kuliscioff”, in “Vite controvento. Storie di donne”, Trieste, Vita Activa, 2023, pp. 131-142.

GIULIANA NUVOLI

                                                        “La civile eguaglianza degli esseri umani”. Anna Kuliscioff

 

Anna si tolse quieta gli occhiali e guardò fuori: il sole cedeva ai primi incerti passi della notte; il Duomo scrutava impettito la piazza e i passi veloci dei ritardatari; i vetturini, intanto, aprivano le coperte e le appoggiavano alla meglio sulle ginocchia: la notte sarebbe stata lunga e il freddo impietoso.

Anna si appoggiò allo schienale del divanetto verde e chiuse gli occhi. Sapeva di non avere ancora molto tempo: la tosse era sempre più intensa e lei sempre più debole. Filippo stava per arrivare… il suo Filippin! Aveva la stazza di un orso e la delicatezza di una fanciulla.

L’aveva conosciuto a Napoli, così diverso da Andrea Costa: con lui, da subito, si era sentita al sicuro. Costa era stato l’accecamento dei sensi e l’esaltazione della politica: la Svizzera, Parigi, Milano, Imola e la nascita di Andreina. Avrebbe potuto essere una grande storia: ma lui era un inguaribile misogino, e lei aveva bisogno di respirare… Turati era diverso: educazione da signore, voce pacata e mani forti, quelle che danno calore e promettono carezze.

Erano passati anni prima di convivere: la laurea, la specializzazione in ginecologia, una tesi sulla febbre puerperale che, da subito, aveva iniziato a salvare vite. Napoli, Torino, Padova… il passaggio doloroso a Pavia, poi la delusione milanese: alla Ca’ Granda non l’avevano voluta perché era donna. Stupidi tacchini!

Ma lei non si era scoraggiata: era a Milano, con Filippo, Andreina, la politica e tante cose da fare! Avrebbe curato i poveri: a loro, e alle donne, i luminari della Ca’ Granda non avevano il tempo di pensare… C’erano le sartine, le tabaccaie, le operaie delle filande; e poi quelle bambine vendute e violate, coi gracili corpi a cui la sifilide toglieva ogni speranza…   La città era crudele: ma lo è la vita, lo sono gli uomini, lo è il destino. Per fortuna non sempre. C’erano stati momenti in cui la vita sembrava esplodere verso l’alto e ricadere in frammenti colorati. Uno di questi era stato il 27 aprile 1890: il Circolo Filologico Milanese l’aveva invitata a tenere una conferenza sul problema del proletariato femminile, indicando la soluzione socialista.

La sala è gremita: volti curiosi, baffi solenni, dame con serici abiti primaverili.  Anna mette subito in rilievo il fatto che l’inferiorità della donna nasce ed è codificata da privilegi maschili consacrati nel tempo. Il piglio della conferenza è vivace, il tono appassionato, la materia densa. Sono presenti tutti i grandi temi per cui lei si è battuta, e quelli che saranno oggetto delle future battaglie.  Ricorda bene, ancora adesso, l’affondo frontale e deciso:

Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e di qualunque classe sociale, per una infinità di ragioni poco lusinghiere per un sesso che passa per forte, considerano come un fenomeno naturale il loro privilegio di sesso e lo difendono con una tenacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio, Chiesa, scienza, etica e le leggi vigenti, che non sono altro che la sanzione legale della prepotenza di una classe e di un sesso dominante. […] In questa lotta lunga, continua e faticosa, col progredire e coll’evolvere della società è germogliato un sentimento, che si fa sempre più coscienza – il sentimento della giustizia sociale – della civile eguaglianza degli esseri umani.

Anna colpisce di fioretto, non di spada; a volte, con velato ma irridente sarcasmo, sembra fare un passo indietro: ma è un piccolo vezzo, perché subito dopo, con un sorriso sottolinea come abdicare al potere sia sempre cosa difficile, anzi, dolorosa. E come, in questa resistenza, il maschio trovi un potente alleato nella religione: il sesso di Dio non è femminile!

La conferenza è un trionfo e l’inizio di un periodo travolgente. Nel 1891 la fondazione di “Critica sociale”; nel 1892 la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani che, nel 1895, diventa il Partito Socialista Italiano. E poi le lotte per un lavoro più giusto, sino alla legge Carcano del 1902. Non era quella che lei avrebbe voluto: ma i fanciulli non potevano essere ammessi al lavoro sotto i dodici anni; e le donne non avrebbero lavorato più di dodici ore, e avrebbero avuto quattro settimane di congedo dopo il parto, con la possibilità di allattare. Un passo avanti in un mondo misogino di cui andava orgogliosa.

La luce incerta dei lampioni entrava dalle tende e riempiva di taglio la stanza, sino ai suoi piedi. Anna si scosse e andò alla finestra: Filippo tardava, ma accadeva spesso. Lui era distratto, disponibile e gentile: chissà chi lo aveva trattenuto, questa volta! Prese la coperta scozzese dallo sgabello accanto alla stufa e tornò al suo divano; aprì la coperta sulle ginocchia, la tirò sino alle spalle e l’aggiustò intorno al collo per restare calda. Poi lasciò che il tepore risalisse e tornò a chiudere gli occhi.

L’aveva amato Filippo: con la pienezza dei sensi e il legame tenace dell’intelligenza. Ma non aveva mai voluto sposarlo: il matrimonio era per donne insicure, non per lei. Sì, certo, un marito l’aveva avuto, a vent’anni, Pëtr Makarevič, che l’aveva convertita alla rivoluzione. Poi Anna aveva dovuto riparare in Svizzera: aveva incontrato Costa e dimenticato Makarevič. Amori giovanili! A trent’anni, Turati: e da allora erano passati quattro decenni di scontri, ripiegamenti, testa a testa, musi lunghi e rapide pacificazioni.

Un uomo lo si può amare con assoluto trasporto: ma non dovrai mai essere cosa sua. Anna si aggiustò meglio la coperta e ridacchiò fra sé e sé. Filippo era un capo, per talento e sapere: ma era lei a dominare. Si ricordava quando la definirono “la miglior testa pensante del socialismo italiano”: Filippo aveva sorriso e allargato le mani… ma era rimasto in silenzio. Difficile per lui ammettere la superiorità di una donna, anche se era la sua compagna.

Anna vedeva lontano: più lontano di tutti quei socialisti che affollavano il Parlamento, le assemblee, le piazze. Il socialismo era la difesa dei più deboli, di tutti; a cominciare dalle donne: le più sfruttate, usate, maltrattate. Ma ai compagni parevano interessare i maschi della classe operaia e contadina: le donne erano secondarie. E sostenevano, con stolida arroganza, che le donne erano nate per servire gli uomini, che non avevano pari intelligenza, che non sarebbero mai state in grado di decidere in modo autonomo. E su queste convinzioni si ostinavano a negare loro il voto: erano in pochi a seguire August Bebel e le sue tesi sulla parità femminile.

 

Anna si ricordava bene di un pomeriggio di sole, nel nuovo appartamento di Via Portici, 23. Le vetrate si spalancavano sulle guglie del Duomo e, sulla destra, i fiaccherai, allineati, sonnecchiavano in attesa dei clienti. Era appena uscita la replica di Filippo su “Critica sociale” al suo articolo sul diritto di voto delle donne: un cumulo di sciocchezze! … la questione era secondaria; le donne potevano aspettare; il voto avrebbe favorito la Chiesa, perché – si sa – le donne sonno facilmente influenzabili e i preti le avrebbero imbonite.  E poi, aveva scritto Filippo, c’era il rischio che “la pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili” rafforzasse le forze conservatrici.

Agitando la rivista, si era girata furibonda verso di lui: “Perché tanto savio e prudente? Il voto è la difesa del lavoro, e il lavoro non ha sesso. Filippo, quando una cosa è giusta… è giusta! Perché ti fai  indietro? Ah! già: sono gli uomini ad avere il potere e tu hai paura di affrontarli? Sì, ce l’hanno, il potere: ma non è detto che abbiano ragione! Io non capisco: tu sei un uomo buono, sei giusto, sei intelligente… eppure fai così fatica a capire!”

Filippo, imbarazzato, si era avvicinato: “Arriverà il momento anche per voi!  State tranquille, avete molte cose di cui occuparvi: la casa, i figli, i vostri uomini… e, sì, anche la politica… E’ giusto che ci stiate accanto: ma non è ancora il momento!”

“Filippo! Noi non dobbiamo accudirvi: noi dobbiamo starvi accanto, ma con pari diritti e pari doveri!  Pazientare? E quando sarà il tempo? Lo deciderete voi deputati socialisti che avete paura della vostra ombra? Sono passati trent’anni – dico tren-ta an-ni – da quando Anna Maria Mozzoni ha presentato la petizione per il voto e tu mi dici di pazientare?”

“Anna, non ragioni…”

“Io non ragiono? Siete patetici… ti ricordi cosa ha scritto Ersilia (Majno), facendo sorridere i salotti milanesi e imbufalire i tuoi compari?

Tutte queste ragioni messe innanzi per negare il diritto di voto alla donna, farebbero supporre a chi non conoscesse lo stato di fatto che il diritto di voto concesso all’uomo soltanto sia stato esercitato in modo così perfetto, con così grande coscienza, giustizia, sentimento di responsabilità, e con esito così straordinariamente buono per la società, da esigere che tale felicissima situazione non venga compromessa dando il voto alle donne ignoranti, suggestionabili, senza carattere ed energia, capaci nientemeno che di lasciarsi influenzare dai fratelli, dall’amante, dal marito, dal prete e di votare per la reazione.

Il suo sarcasmo vi ha fatto a pezzi, e voi li avete raccolti senza una parola.”

Filippo era rimasto in silenzio, guardandola con intensità

“Sai, mi sta tornando in mente la prima volta che ti ho visto…. Avevi lo stesso sguardo di sfida, di quella che non abbassa mai gli occhi. Tu non alzi la voce… tu fissi l’altro, come volessi entrargli nell’anima!”

“Oh! Non basta…” Col respiro ancora affannato, Anna si era avvicinata a lui, gli aveva appoggiato le mani sul petto e gli aveva sussurrato: “Ma vinceremo noi!”

Filippo entrò in punta di piedi e si chinò su di lei per un piccolo saluto. Anna aprì gli occhi con un piccolo gemito.

“Sei arrivato!”

“Perdonami, ma Mussolini non mi lascia respiro. Mi ha reso fuorilegge e continua a mandarmi minacce. Non fosse perché stai così male, ti avrei già portata via, a Parigi…” e intonò giocando ‘Parigi, o cara noi rivedremo, / la vita uniti trascorreremo… / la tua salute rifiorirà’!”

Che idiota era stato a non capire quanto giuste fossero le battaglie di lei! Adesso era tutto chiaro: anche l’intelligenza politica di quella russa cosmopolita. Andava controcorrente e bacchettava tutti: i presidenti, i vice-presidenti, i direttori, gli onorevoli. Lei volava alto e dall’alto vedeva cose che sfuggivano ai più.

Anna scostò la coperta e gli prese la mano: “Adesso sono anche Traviata!”.

“Amo le Traviate! Senti non ti ho ancora chiesto perdono…”

“Per cosa?”

“Per essere stato a volte sordo e cieco. Come quella volta che avevi bisogno di me, a Salsomaggiore, 25 anni fa.”

“Non ricordo bene… era autunno, forse…”

“Sì, il 22 ottobre del 1900, per l’esattezza.”

Infilò la mano nella tasca interna della giacca, tirò fuori un foglio stropicciato e ingiallito e iniziò a leggere:

Le mie malinconie ricorrenti non sono dunque ne’ ipocondrie, ne’ isterismi, ne’ «cattiveria», forse sono semplicemente un ardente desiderio d’averti un po’ più per me, ciò che accade ben di rado. Mi vergogno a dirti queste cose, perché vedo già il tuo sorriso canzonatorio, leggo nella tua mente certe frasi in milanese che gettano il ridicolo su tutto; ma, cosa vuoi, non ho mai saputo, neppur ora alla mia tenera età, che cosa sia saggezza. Non so tacere, sorridere, quando ho la gola stretta dal pianto, parere serena, quando sono tormentata da sentimenti contraddittorii ed angosciosi: e ci vorrebbe tanto poco per rendermi felice. Il guaio è che v’ha un punto oscuro nella diversità del nostro sentire. Io so che tu mi vuoi bene, non ne dubito, ma non basta di voler bene, bisogna saper anche voler bene. […] E bada che te lo dico senza acrimonia, senza rimprovero, senza rabbia. Ti giuro che forse mai nessuno ti abbia voluto bene quanto te ne voglio io, e forse è questa la mia disgrazia.

“Grazie! Adesso ricordo… la scrissi piangendo: e sai che piango di rado. Sei stato la mia vita, brutto orso… e ti ho amato: sempre!”

Gli prese la barba e la tirò piano.

Filippo la guardò immalinconito. Non sei ancora morta e sei già un mito: la testa più lucida, libera e seduttiva che l’Italia, forse l’Europa, abbia conosciuto.  Piccolo uccellino biondo, mi lascerai solo, qui a Milano. Non so se, dopo di te, riuscirò ancora a vivere in questa casa, a parlare ai compagni, a tenermi lontano da quel barbaro di Predappio. Ora riesco solo a ricordare quanto ci siamo amati….