Quando in Toscana un partito nasce e muore, 25 giugno 2018

Ne “La voce metropolitana”, 15 giugno 2018

Quando in Toscana un partito nasce e muore

Era il 21 gennaio 1921 quando, al teatro Carlo Goldoni di Livorno, venne fondato il Partito Comunista Italiano. Un partito: per molti una religione, una Chiesa. Turati aveva avvertito, nel 1895, su “Critica sociale”: socialisti, non diventate un partito, restate un movimento…
Un partito ha bisogno di radicarsi, di alimentarsi, di crescere; ha bisogno di risorse e di energie per continuare ad esistere. E quelle energie, quelle risorse le deve assorbire da qualche parte, da qualcuno: ma le sottrae agli scopi che dice di proporsi.
Il PD, il nipotino diretto di quel PCI livornese, è morto. Irrimediabilmente e senza appello. Un toscano, Matteo Renzi, gli ha dato il colpo di grazia; questo ballottaggio del 24 giugno 2018, con la perdita delle toscane Massa, Pisa, Siena, ha posto la sua pietra tombale. Con buona pace di Maurizio Martina e di chi si ostina a difenderne la sopravvivenza. E’ morto perché ha perso la sua anima e dimenticato la sua storia. Perché è diventato, come altri, partito di affari e di potere. Perché ha lasciato che il potere diventasse il fine delle azioni. La gente spesso è lenta a capire: si affeziona ai suoi miti e fatica a cambiare. Ma arriva il momento della ribellione, e dell’abbandono. Il declino del PD è stato di una velocità sorprendente: ma la rottamazione di Renzi era stata preparata da altri, da quel gruppo dirigente che, a Renzi, ha fatto una guerra spietata.
C’è solo un modo, adesso, per contenere questo vento sovranista, conservatore, che soffia contro una Storia che va in tutt’altra direzione: unirsi in un movimento civile, con una chiara idea del mondo che vorremo, in cui tutti gli uomini abbiano diritto di cittadinanza e le leggi siano duttili e destinate, in positivo, alla parte più ampia possibile di popolazione. Giuliano Pisapia aveva questo in mente, quando ha provato a unificare i pezzi della così detta “sinistra”. Non ne ha avuto la forza; e i tempi non erano ancora maturi. Adesso lo sono. A patto che non ci sia solo un ricambio di uomini, né una ripulita di facciata. Le masse hanno bisogno di chiarezza, di indicazioni concrete, di azioni tangibili. Vogliono avere risposte ai loro bisogni, in particolare nei momenti in cui tutto sembra incerto, confuso, incomprensibile. E le attuali forze al governo hanno intercettato queste domande meglio dei partiti di sinistra che, per cultura e tradizione, avrebbero dovuto farlo.
Mi raccontavano che nella città in cui sono nata, Carrara, le squadracce fasciste non potevano spadroneggiare come altrove: i cavatori di marmo rispondevano alle loro prepotenze con busse sonore, e li ricacciavano indietro. Se, adesso, Massa Carrara è passata al centro destra – e con lei Pisa e Siena – questo non vuol dire che la gente toscana abbia cambiato la visione del mondo. Con busse sonore, hanno solo ricacciato una politica che non li rappresentava più in un angolo. E l’hanno costretta a non uscire più di casa.