Quanti schiaffi servono per riconoscere la violenza? 12 novembre 2018

Quanti schiaffi servono per riconoscere la violenza?

 

Pioveva a Milano, in Piazza della Scala. Ma le donne erano lì: indifferenti al maltempo, ridenti, indignate e festose.
Questa è una proposta di legge contro le donne e contro i bambini, dopo gli attacchi alla 194, ora cercano di demolire il diritto di famiglia mettendo a rischio le mogli che subiscono violenza in casa e che vogliono separarsi.
Manuela Ulivi, esponente della Casa delle donne maltrattate, è andata dritta al punto: il vento maschilista che sta soffiando in Italia (e non solo) prova a travolgere le donne che, solo da poco, si vedono riconosciuti diritti, scritti nella Costituzione, ma spesso disattesi.
Pioveva a Milano: ma in migliaia manifestavano contro un disegno di legge che difende categorie sbagliate: i padri-padroni, i mediatori familiari come Simone Pillon, gli antidivorzisti, gli ottusi nostalgici di un mondo in cui il matrimonio risultava non di rado una condanna all’ergastolo. Sopra tutto per le donne.
E a Milano rispondeva Roma, dove le donne sfilavano coi mantelli rossi e i cappucci bianchi di cartone e dove, in Piazza Madonna di Loreto, si alternavano al microfono generi disparati e pieni di giusta indignazione.
A Bologna, in piazza Re Enzo, la Casa delle donne definiva il disegno di legge Pillon
pericoloso, perché introduce la mediazione familiare, abolisce l’assegno di mantenimenti per i figli, limita la possibilità di divorziare o separarsi con l’obiettivo di preservare l’unità familiare, penalizza il coniuge meno abbiente minandone la libera scelta e ostacolando la denuncia delle violenze in famiglia.
A Venezia, nel campo San Giacometo di Rialto, i manifestanti chiedevano
il ritiro immediato di una proposta di legge reazionaria, che renderà più costoso e difficile separarsi, imporrà una rigida spartizione del tempo da passare con figli e figlie e, con l’abolizione dell’assegno di mantenimento, sottoporrà le donne a un vero e proprio ricatto economico.
Sono state 60 le città in cui Non Una di Meno e D.i.Re, Donne in Rete hanno raccolto centinaia di migliaia di cittadini: non erano solo donne e non erano sole.
Sono 5 i No che, proprio a Venezia, comparivano a chiare lettere sugli striscioni:
1. No alla mediazione obbligatoria e a pagamento.
2. No all’imposizione di tempi paritari e alla doppia domiciliazione/residenza dei minori.
3. No al mantenimento diretto dei figli, cioè alla cancellazione dell’assegno.
4. No al piano genitoriale, il programma dettagliato e vincolante della vita materiale, sociale e culturale dei figli.
5. No al concetto di alienazione parentale, non è riconosciuto a livello medico.
E No, una volta per tutte, all’ignoranza oscurantista che si cela dietro la difesa della famiglia. La storia cammina; gli uomini prendono coscienza del loro stato; il potere ha sempre più spesso una maschera traballante. Per secoli (per millenni) le donne sono state ritenute materiale usa e getta, con la complicità e il supporto delle Chiese (le religioni sono un’altra cosa). Io credo che quel tempo sia un malato terminale. E ne devono prendere atto sopra tutti i simpatizzanti della Lega, dal rimpianto facile per le famiglie patr-iarcali, per il potere muscolare, per piazze urlanti e acritiche.
Perché, anche all’interno di quelle piazze, qualche donna potrebbe voltare le spalle e andarsene da un’altra parte, dove l’aria è più leggera e Peter Pan può volare via quando decide che è il momento.
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